I paradisi fiscali che si mangiano l’economia

Un paradiso fiscale e’ un posto in cui si possono nascondere beni per sfuggire alle maglie tributarie delle varie nazioni. Queste maglie possono essere leggi fiscali, penali, norme sulla trasparenza oppure piu’ semplicemente regolamentazioni finanziarie.
Per fare questo, non c’e’ bisogno – o meglio non c’e’ piu’ bisogno – che un’azienda o i suoi beni siano in un determinato posto, basta infatti che la sede fiscale della stessa sia in un paradiso fiscale e il gioco e’ fatto, dato che i beni o le filiali al contrario possono essere ovunque.


Con la globalizzazione le multinazionali – che hanno sempre piu’ potere – hanno ormai tutte o quasi le loro sedi fiscali in questi paradisi, per cui noi tutti, comprando da loro, siamo compartecipi di una gigantesca e internazionale frode fiscale, seconda solo alla nascita del denaro dal nulla che genera l’intera architettura finanziaria globale.
In pratica le multinazionali sabotano e boicottano (quotidianamente) tutti gli Stati, perche’ succhiano denaro dall’economia reale non mettendolo piu’ in circolo, o meglio lo fanno circolare prettamente nell’economia finanziaria: noi tutti che compriamo da loro, quindi, facciamo lo stesso, anche se naturalmente in modo inconsapevole.
In sostanza ci diamo la zappa sui piedi, perche’ le piccole aziende che pagheranno le tasse prima o poi falliranno, mentre noi dovremo pagare sempre piu’ tasse allo Stato di turno per pagare il solito e consueto pizzo ai banchieri, visto che tutto il denaro in circolazione e’ in realta’ un debito emesso da loro.
E’ come se l’elite finanziaria, attraverso gli agenti della globalizzazione alias le multinazionali, si fosse premurata ancora di piu’ del fallimento totale delle nazioni, in modo da controllarle – e controllarci – dalla testa ai piedi.
E infatti, a proposito di controllo, i banchieri oggi, attraverso le multinazionali, sanno cosa pensiamo, come vestiamo, cosa mangiamo, come ci divertiamo, ma anche quali vestiti e scarpe indossiamo.
Anzi, sono proprio loro a dettare le mode e i comportamenti!
Ad ogni modo, Amazon, Google, Axa, Barclays, Citigroup, Gazprom, General Electric, Ikea, Vodafone, Pepsi, Skype e Hsbc sono solo alcune delle multinazionali (circa 350 in totale) che hanno sedi nei paradisi fiscali, e che per questo non pagano tasse o ne pagano molte di meno.
Nel novembre del 2014, un dipendente di una societa’ di revisione contabile con sede in Lussemburgo – noto paradiso fiscale europeo – rivelo’ complicatissimi intrecci tra multinazionali prettamente europee e politici, svelando un regime di tassazione dietro al quale si celavano dei veri e propri crimini finanziari: ebbene, mentre il coraggioso dipendente fini’ sotto processo, il vero architetto di questa gigantesca elusione fiscale, Jean Claude Junker, e’ diventato oggi presidente della Commissione Europea.
E’ cosi’ che in Europa vanno le cose.
In realta’ le cose vanno cosi’ in tutto il mondo o quasi, dato che questi colossi aziendali succhiano il sangue a tutte le economie reali, e rappresentano ormai il “cuore pulsante” del commercio globale.
Il sistema piu’ comune per eludere (e anche il piu’ banale, se vogliamo) usato dalle multinazionali si chiama “Transfer Price”, e consiste nell’apertura di tre societa’ controllate, una nel paese di produzione, una in un paradiso fiscale vero e proprio e l’ultima, infine, nel paese di destinazione.
Mentre la prima e l’ultima acquistano e vendono realizzando zero profitti (e quindi zero tasse) i profitti vengono spostati solo nella seconda societa’, la quale, data la sua ubicazione, non paghera’ alcuna gabella.
Un esempio pratico: una multinazionale che produce banane aprira’ tre aziende, una in Africa dove ci sono i bananeti, una in un paradiso fiscale e l’ultima, infine, in Italia dove vengono rivendute.
La prima azienda vendera’ alla seconda realizzando zero profitti (e quindi non paghera’ tasse) la seconda vendera’ alla terza – quella italiana – e incassera’ i profitti, mentre l’ultima vendera’ al supermercato allo stesso prezzo che le ha pagate, realizzando ugualmente zero introiti.
Ecco perche’ i prodotti delle multinazionali sono sempre piu’ convenienti rispetto ai prodotti locali: si sfruttano gli uomini e non si pagano le tasse, vorrei vedere!
Ma chi protegge questi paradisi, alias i portagioielli delle multinazionali?
Ovviamente gli stessi banchieri, o meglio l’elite finanziaria transnazionale che tiene in scacco il Pianeta attraverso la proprieta’ della moneta.
Oggi dato che la moneta e’ – appunto – un debito, le nazioni fanno a gara per accaparrarsi soldi “stranieri”: in pratica in questo sistema i paradisi fiscali sotto sotto sono perfino incoraggiati, e piccoli esempi in questo senso non mancano neanche nel nostro paese, se si pensa agli scudi fiscali realizzati dai governi precedenti.
Negli Stati Uniti, ancora oggi, chi porta denaro fresco ha una vasta scelta di strumenti, e in alcuni Stati come il Delaware o il Nevada, con poche centinaia di dollari, si possono aprire addirittura societa’ di comodo e intestare loro beni siti in qualsiasi parte del mondo.
Ecco perche’ la lotta ai paradisi fiscali non puo’ che essere apparente: in realta’ e’ lo stesso sistema elitario della globalizzazione che la esige, perche’ necessita di caveau internazionali.
I paradisi fiscali, come avrete capito, non sono minimamente interessati ai piccoli risparmi dei correntisti: qui si movimentano infatti somme consistenti, molte volte addirittura fondi neri, provenienti dal mercato della droga, degli organi e della prostituzione.
Essi sono tutti esperti nel cosiddetto laddering, ovvero il far perdere traccia dei soldi spalmando gli importi sotto diverse giurisdizioni.
Il sistema finanziario globale, infine, cerca di nascondere la questione “paradisi e multinazionali” parlandone poco e male attraverso i mass media, e cercando anche di irretire editori di giornali e televisioni in modo da assicurarsi il loro silenzio.
In alcuni casi il sistema mediatico arriva perfino a difenderli, come quando si asserisce che i paradisi offrano un riparo da disordini o persecuzioni politiche, o quando – ancora peggio – si dichiara che vi si mettono i soldi per “difendersi” e pagare meno tasse, quando in realta’ non le si paga affatto.
Chi vuol capire la natura della crisi, insomma, deve mettere insieme tutti i tasselli dell’attuale architettura finanziaria, fatta di denaro-debito, globalizzazione e – appunto – paradisi fiscali.
Una volta focalizzato il quadro d’insieme, capire la natura artificiale di questa crisi sara’ un’operazione semplice, se non addirittura…una cosa banale.

Fonte dati: Internazionale.
Fonte immagini: Google.