Il Bhutan e l’economia della felicità

Sembrera’ incredibile ma in questi tempi cosi’ bui, dove contano solo le “prestazioni economiche” degli Stati e dove l’umanita’ si riduce a brandelli per cose tipo debito, bot, bund, spread eccetera, sul pianeta c’e’ un paese che va controcorrente a tutto questo marciume.
Questo paese e’ il Bhutan, alias un piccolo Stato incastonato tra il sud della Cina e l’India.
Qui, infatti, si e’ deciso di adottare non il PIL – per chi ancora non lo sapesse questa sigla indica il Prodotto Interno Lordo, ovvero l’insieme di beni e servizi prodotti da uno Stato in un determinato periodo – quanto piuttosto la FIL, la felicita’ interna lorda, che misura il benessere della popolazione prima di qualunque parametro economico.


A detta di chi ha creato la FIL, piu’ questa aumenta e piu’ aumenta anche il PIL, in quanto in un contesto di felicita’ e benessere si produce di piu’ e soprattutto meglio.
La FIL fu inventata per la prima volta nel 1972 dal Re Jigme Singye Wangchuck, e fu intesa come parametro del benessere spirituale che doveva trascinare con se’ anche il benessere materiale.
Il calcolo della FIL si basa su indicatori quali lo sviluppo sostenibile, la conservazione e valorizzazione dell’ambiente, l’adozione di leggi per tutta la collettivita’, la salute dei cittadini, l’istruzione e la ricchezza dei rapporti sociali.
La religione buddista in tutto questo – va precisato! – influisce non poco…
La critica piu’ frequente e’ che la FIL si orienta su giudizi soggettivi che sono sempre e solo positivi.
Cio’ naturalmente e’ possibile, ma la domanda pratica e’: la gente come vive in Bhutan? E’ qui infatti la questione.
La dinastia Wangchuck, negli ultimi cinquant’anni, ha adottato misure di benessere eccezionali per sviluppare l’economia dello Stato: il tasso di alfabetizzazione, per esempio, supera il 60%. Quasi tutti ormai parlano l’inglese.
Le strade, inoltre, sono grandi e pulite e l’acqua e’ potabile, il che e’ decisamente raro in Asia meridionale.
Lo stato del Bhutan, poi, ha permesso alle grandi compagnie indiane di sfruttare le immense risorse idroelettriche del paese, anche se in cambio ha chiesto molta occupazione e soprattutto infrastrutture.
La famiglia reale e’ molto vicina al popolo: l’attuale Re Kesar della dinastia Wangchuck, non di rado, si reca in incognito tra la gente per le strade e si mette a parlare coi cittadini per saggiare il loro benessere e soprattutto il loro grado di soddisfazione collettiva.
Secondo i parametri internazionali legati al PIL, il Bhutan risulta tra i paesi piu’ poveri del pianeta: in realta’, qui nessuno muore di fame, la solidarieta’ sociale infatti e’ cosi’ elevata che ci si aiuta a vicenda in molti, troppi modi; la prova e’ che non ci sono clochard per le strade e la criminalita’ e’ praticamente azzerata; inoltre la stragrande maggioranza della popolazione accede gratuitamente sia all’acqua che alla sanita’ e all’istruzione.
Nell’agosto del 2011, il modello bhutanese e’ sbarcato perfino all’ONU, dove si e’ arrivati ad una risoluzione che e’ davvero un’ovvieta’, ovvero che la felicita’ dell’uomo va perseguita prima di qualunque cosa, che e’ un parametro per il benessere economico di ciascuna collettivita’ e che pertanto deve essere perseguita. Parole vuote, almeno al momento.
In tutto questo idillio, pero’, c’e’ solo un neo, una piccola grande macchia che il paese fatica a lavare.
Mi riferisco all’esilio di molti bhutanesi dell’etnia lotshampa, costretti allo status di rifugiati dapprima in India e poi, per volere delle Nazioni Unite, in numerosi paesi del pianeta, cio’ perche’ all’ inizio degli anni novanta si decise per “un popolo una nazione” favorendo l’etnia allora dominante rappresentata dai drukpa.
Ci sono stati molti omicidi di cittadini di etnia lotshampa da parte dell’esercito bhutanese e, sebbene questa pagina sia ormai stata chiusa, rimane una parentesi molto imbarazzante per l’intera monarchia dello Stato, monarchia di carattere assoluto che , tra le altre cose, da soli tre anni si e’ data una costituzione e in un certo senso dunque ha optato anche per un deciso ridimensionamento dei propri poteri.