Il lavoro come forma di schiavitù

Lavoriamo otto ore al giorno e anche piu’ per poterci permettere cibo, un tetto sopra la testa, un abito che ci copra o un auto che ci trasporti da un posto all’altro.
Chi non ha un lavoro – specie in questo periodo – deve in qualche modo rinunciare in tutto o in parte a queste cose, e ce ne sono alcune, come il cibo ad esempio, cui proprio non si puo’ rinunciare.
Eppure c’e’ stato un tempo in cui la societa’ era diversa, e la ridottissima dipendenza dal denaro prevedeva ritmi di lavoro molto meno alienanti di quelli attuali: mi riferisco in particolare al periodo antecedente alla rivoluzione industriale, a quando cioe’ le famiglie erano autarchiche e si mangiava cio’ che l’orto e le stagioni consentivano.


C’erano molti stenti, e’ vero, e sarebbe inimmaginabile tornare indietro, ma la gente in quei periodi era piu’ libera… di vivere; soprattutto era piu’ libera di fare le uniche due cose per cui vale davvero la pena continuare a vivere, vale a dire pensare e soprattutto amare.
Oggi l’impiego e’ il culmine della nostra vita, la risposta a tutte le nostre tribolazioni: a propagandare il binomio di schiavitu’ “lavoro-consumo” ci pensano politici, genitori, moralisti, industriali – ovviamente! – e non ultimi perfino intellettuali.
Il lavoro ci rende pigri alla vita, apatici alle novita’, e produce – vuoi o non vuoi – una forma di stolidita’ in quanto ogni giorno si ripetono le stesse mansioni in modo meccanico se non robotico.
“Usa molto i sensi e poco la mente” dicevano i grandi capitalisti americani all’inizio della rivoluzione, aggiungendo anche frasi del tipo “pensa poco, leggi ancora meno ma lavora sempre di piu'”.
A proposito della “piena occupazione”, Oscar Wilde, nel suo bellissimo saggio “l’anima dell’uomo sotto il socialismo” dichiarava: “e’ deplorevole che una parte della nostra societa’ sia praticamente ridotta in schiavitu’; ma proporsi di risolvere il problema asservendo una societa’ intera e’ veramente puerile”.
In periodi di crisi come questo, dove molte famiglie sono sul lastrico per via di una crisi economica “finta” perche’ creata ad hoc da banche private che prestano soldi agli Stati e che hanno semplicemente chiuso i rubinetti per poterli dominare meglio, parlare di lavoro come schiavitu’ sembra quasi blasfemo per non dire paradossale: il punto pero’, a mio avviso, e’ proprio questo, ovvero riconoscere l’intero meccanismo di schiavitu’ che questo sistema genera, da cima a fondo, meccanismo che tra le altre cose si perpetua grazie alla nostra ignoranza o – peggio ancora – alla nostra indifferenza.
Dato che il denaro privatizzato genera da sempre crisi economiche, la soluzione di renderlo pubblico – vale a dire di proprieta’ dei cittadini – risolverebbe tutti o quasi i nostri problemi. Compresi gli attuali e impossibili ritmi e tempi di lavoro.
Lo Stato infatti – o gli enti pubblici deputati a farlo – emettendo la quantita’ di denaro giusta affinche’ i cittadini possano scambiarsela senza generare debito, garantirebbe a tutti almeno un’occupazione e un tetto, visto che non ci sarebbero piu’ le condizioni di scarsita’ cui siamo da sempre abituati.
Il punto, infatti, e’ che il lavoro resta una sottrazione di tempo alla vera vita, al tempo in cui si e’ liberi di potersi costruire una propria identita’ nonche’ un personale cammino di evoluzione.
Nel bellissimo libro di Simone Perotti “Ufficio di scollocamento”, l’autore parla proprio di questo, e cioe’ di iniziare a “scollocarsi” da questo sistema, compiendo semplici azioni che hanno tutto il merito di ridurre la nostra dipendenza dal denaro: Perotti, per esempio, parla di “condivisioni” che in qualche modo ricostruiscano un tessuto comunitario ormai lacerato; ma non solo, parla di riuso, del baratto visti i tanti oggetti che non ci servono, di coltivare un piccolo orto, di entrare a far parte di gruppi di acquisto solidale, di recuperare una manualita’ che nel nostro piccolo ci consenta di risparmiare e imparare qualcosa.
In un mondo di persone annoiate e insicure come oggi, infatti, il recupero di questa manualita’ – spiega Perotti – potrebbe aiutare psicologicamente tantissime persone!
E se per tutto questo non si ha tempo, be’ allora e’ il sistema che vi ha consapevolmente in pugno: siete cioe’ cosi’ pigri e abituati a servirlo, che in realta’ non vi accorgete che e’ lui che si serve di voi.

Fonti: “Ufficio di Scollocamento” di Simone Perotti Ediz. Chiarelettere.
“Lozio come stile di vita” di Tom Hodkinson Ediz. Bur.

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