Molti non sanno – o forse non ricordano – ma il primo Job Act fu ad opera del Presidente dei banchieri Obama, il quale, nel 2011, annuncio’ a milioni di teledipendenti americani che sarebbe stato varato a breve un piano per il lavoro, una legge per ovviare – in parte – alle tante meschinita’ dei suoi stessi “boss” – la finanza, appunto – la quale, tra debito pubblico, globalizzazione e finanza mondiale “creativa”, sta tuttora distruggendo l’America e il mondo intero.
Il Job Act americano fu approvato e varato nel 2012, anche se entro’ ufficialmente a regime nel 2013: in linea generale, esso prevedeva una riduzione delle tasse per le piccole imprese (soprattutto le cosiddette start-up), detrazioni fiscali per quelle che assumevano o aumentavano i salari, dimezzamento delle trattenute in busta paga per molti lavoratori del settore pubblico, e infine la creazione di nuovi posti di lavoro per veterani, insegnanti, edili (questi ultimi attraverso opere pubbliche) nonche’ l’estensione dei sussidi di disoccupazione unita a un’ulteriore detrazione fiscale per le imprese che assumevano disoccupati giudicati tali da oltre sei mesi.
Per fare questo, naturalmente, Obama ha avuto a disposizione un “budget” di circa 447 miliardi di dollari-debito, soldi che hanno aumentato il debito complessivo del paese nei confronti della stamperia privata altrimenti chiamata FED (Federale Reserve, ovvero la Banca Centrale).
Chiariamoci: Obama avra’ pure aumentato l’occupazione (e quindi la crescita) in America, ma il debito e i parametri economici sono ulteriormente peggiorati, e la crisi e’ tutt’altro che finita (e non finira’ mai, finche’ la finanza comandera’ le nazioni e il denaro nascera’ come un debito).
In Italia Renzi – che si atteggia ad Obama – vorrebbe emulare un po’ il provvedimento, ma non puo’ perche’ la BCE presta i soldi col contagocce. Ecco perche’ non ci sono le risorse.
Cosa fare? Ecco che le ricette arrivano direttamente da quei poteri forti che Matteo dice di voler sfidare: la famosa lettera, infatti, dell’agosto del 2011 al Governo Berlusconi da parte di Draghi e Trichet dichiara apertamente che “La protezione costituzionale del lavoro e’ un lusso che il paese non si puo’ piu’ permettere”.
A questo punto, perche’ non riscrivere anche l’ Art. 1 della nostra Costituzione: “L’Italia non e’ una repubblica fondata sul lavoro, ma su un’oligarchia di stampo finanziario basata sul debito e sul denaro che nasce dal nulla”.
Troppo onesto, non ce lo possiamo permettere.
L’attacco all’art 18, dunque, da parte di Matteo Renzi, in continuita’ con i governi precedenti, nasce proprio da qui: e’ un dettame finanziario da parte di “signori” che non vogliono dei lavoratori, ma degli schiavi perennemente minacciati e impauriti tali da essere controllati in modo totale.
Cosa c’entra, del resto, l’art 18, la riforma delle istituzioni e via dicendo con la risoluzione della “crisi economica”? Nulla.
E infatti – non mi stanchero’ mai di dirlo – questa non e’ crisi, e’ truffa.
La questione dell’Art. 18 (l’articolo dello statuto del lavoro, ricordiamolo, che prevede la non licenziabilita’ nei contratti a tempo determinato salvo casi eccezionali) e’ davvero miserabile: a fronte di qualche investimento (si spera) di qualche multinazionale gia’ sfruttatrice di lavoratori in mezzo mondo dove il diritto al lavoro e’ zero, ecco che si abbassa – e di molto – la nostra asticella, con la vaga speranza che le cose si possano risolvere.
Il punto e’ che i lavoratori a tempo indeterminato, in questo paese, sono ancora molti se paragonati alla massa di precari con la loro giungla di contratti, dunque siamo di fronte a una nuova precarizzazione di massa che non ha precedenti nella nostra storia.
Il Financial Times, tanto per rincarare la dose, ha affermato che “In Italia esistono due platee di lavoratori, quelli garantiti a “vita” e quelli senza nessun diritto”.
Dunque il Vangelo secondo Matteo vorrebbe risolvere la situazione con un contratto a tutele crescenti… che di fatto sara’ finto, in quanto si potra’ comunque essere licenziati in qualsiasi momento, mentre quelli che adesso hanno un contratto a tempo indeterminato potrebbero perdere un prezioso strumento giuridico che permette loro il reintegro in caso di ingiusti licenziamenti.
Il Job Act, insomma, non risolvera’ nessuno dei problemi delle piccole e medie imprese che ancora fanno da colonna portante alle entrate dello Stato: e infatti non parliamo di una riforma vera e propria che porti sollievo e benessere, ma di una delle tante controriforme partorite dalla finanza europea e internazionale.
Renzi, per gustificare il provvedimento, parla di equalizzare i diritti, ma questa equalizzazione… va verso il basso, proprio come la finanza europea chiede nella sue missive intimidatorie.
Non e’ un caso, ma questi provvedimenti sono gia’ stati attuati in Spagna e in Grecia: ebbene, qui le cose sono solo peggiorate, anche se i media di regime ben si guardano dal comunicarlo al popolino.
L’art 18, dunque, e’ un baluardo di democrazia che dovrebbe essere esteso, non eliminato, in quanto salvaguardia tout court dei lavoratori in un paese che ogni giorno perde ormai 1000 posti di lavoro!
Eliminarlo e’ solo il primo pilastro che la dittatura finanziaria vuole ottemperare: dopo infatti ci saranno gli attacchi ai dipendenti dello Stato (sottopagati e mal gestiti, anche se tuttora con un contratto tutelato) fino ad arrivare ad espellere gli stessi sindacati dalle aziende.
Insomma, credere ancora ai partiti camerieri dei banchieri e’ roba da cretini, e lo dico fuori dai denti… non possiamo davvero piu’ permettercelo.
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