La guerriglia come tecnica di conquista globale

La tecnica della guerriglia e’ nota sin dall’antichita’ quale tecnica di destabilizzazione nei confronti di un grosso esercito: in pratica, quando il nemico e’ troppo forte e ben organizzato dal punto di vista militare, si punta sul nacondimento, sull’aggressione mordi e fuggi, e si confida sul logoramento dell’avversario.
Nella sua essenza, la guerriglia e’ la lotta del debole contro il forte, o meglio del debole che attraverso azioni belliche inique, subdole, fugaci e aggressive cerca di destabilizzare, avvilire e alla fine sconfiggere il fronte piu’ militarmente organizzato.


L’arte della guerriglia e’ sempre stata “esposta”, sin da tempi “non sospetti”: dagli indiani d’America versus i conquistadores fino ai saraceni contro la macchina bellica dei templari, il modus operandi e’ e resta sempre lo stesso, ovvero attacchi veloci e subitanei, nonche’ veloci e cruenti imboscate.
Il termine “guerriglia” (piccola guerra) si fa risalire ufficialmente alla resistenza spagnola durante l’ottocento di fronte all’esercito napoleonico, ed e’ arrivato fino ai giorni nostri sottoforma di altri appellativi, quali “guerra a bassa intensita'”, “guerra asimmetrica” e via discorrendo.
Esistono diversi livelli di guerriglia: si parla di “resistenza” quando un esercito non convenzionale combatte l’esercito ufficiale non riconosciuto piu’ come tale, di “insurrezione” quando e’ il popolo (spesso fomentato da Stati stranieri con i loro emissari ) che insorge contro il proprio Stato, o ancora di “guerriglia di frontiera”, quando alla frontiera del paese si consuma la dissimettria bellica o ancora, infine, di “guerriglia regolare”, quando uno dei due eserciti “regolari” usa tecniche di combattimento non convenzionali.
Si definisce infine “controguerriglia” l’azione speculare di offensiva nei confronti di un’altra guerriglia.
L’Italia non ha mai conosciuto fenomeni di guerriglia veri e propri: la nostra guerriglia, infatti, contro l’esercito fascista (il cosiddetto patriottismo) e’ stato valutato dalla storia piu’ come un “esercito dentro l’esercito” che una guerriglia vera e propria. Per il resto, le nostre controguerriglie in Libia, Africa Orientale e e in Jusoslavia rispettivamente negli anni ’20, ’30 e’40 sono state del tutto dimenticate.
Ad ogni modo, le guerriglie e le controguerriglie sono vecchie come il mondo, sono perfino parte integrante dell’antica epica cavalleresca, dove si ingannavano gli avversari com mille e piu’ “cavalli di Troia”.
Oggi, oltre a parlare di guerriglia si parla anche di terrorismo: i guerriglieri, infatti, sono considerati in molti casi dei veri e propri terroristi, nel senso che usano il terrore per avvilire l’avversario, logorandolo e annichilendolo.
Oggi come ieri – come gia’ anticipato – la guerriglia e’ fomentata da paesi stranieri, i quali hanno interessi strategici nei confronti di un altro paese per ragioni politiche e soprattutto economiche. Oggi come ieri, dunque, si crea all’interno della nazione un “esercito di sovversivi” che nei fatti mette a ferro e fuoco il paese di turno, affinche’ ci si allinei alle desiderate straniere o internazionali.
Un ruolo cruciale in questo ambito lo svolgono i servizi segreti del paese di turno, che con la loro penetrabilita’ o meno possono favorire l’ingresso e l’insurrezione di questi mercenari.
Cio’ che ho appena descritto e’ esattamente quello che e’ accaduto (e che ancora accade) in Afganistan, Libia, Siria, Sudan e Ucraina, ovvero paesi dove si sono concentrati negli ultimi anni gli interessi internazionali dell’elite dominante.
In Afghanistan l’organizzazione col nome di Al-Qaeda (letteralmente la base) e’ stata eterodiretta proprio dagli americani, che avevano creato un esercito di contenimento contro la Russia, che si e’ scontrata (e si e’ ritirata) nella guerra contro i talebani tra gli anni ’80 e ’90.
Il nome di Bin Laden (si pensa sia stato un uomo della CIA vista la sua vita, i rapporti affaristici della sua famiglia con il Presidente Bush ma anche il mistero sulla sua morte) verra’ snocciolato pian piano dai media in diversi attentati antecedenti il famigerato “attacco” dell’11 settembre, ovvero – rispettivamente – nell’attentato alle ambasciate americane di Kenya e Tanzania nel 1998, e nel 2000 nell’esplosione di una fiancata di una nave americana nel porto di Aden, nello Yemen.
Un anno prima dell’attacco alle torri insomma, quando tutti gli americani avevano gia’ imparato il suo nome. Naturalmente la guerriglia, per paradosso, si e’ rivolta contro gli stessi americani quando hanno cercato di monopolizzare il territorio per piazzare le pipeline del gas provenienti dal ricchissimo e vicino Mar Caspio, vero e unico motivo di un’invasione che e’ durata piu’ di una decade.
In Libia, invece, un esercito di “ribelli” armati da chissa’ chi ha messo in ginocchio un intero paese, finche’ il leader Gheddafi e’ stato ucciso e dei cosiddetti “ribelli” non si e’ – ovviamente – saputo piu’ niente.
Questi ribelli hanno successivamente privatizzato la moneta (che prima era pubblica, dunque apparteneva al popolo) nonche’ i vari pozzi petroliferi.
In Siria, ancora adesso, abbiamo un esercito di mercenari armati da servizi deviati americani, israeliani e arabi che sta tentando di spodestare Assad e c’e’ da giurare che finche’ il leader non mollera’ la guerriglia non terminera’ mai, con buona pace delle vittime civili.
Nel Sud del Sudan infine i guerriglieri uccidono quanto le carestie ormai, mentre l’esercito regolare, con i suoi bombardamenti a tappeto, acuisce ancora di piu’ una situazione di cui nessuno osa parlare. Anche qui, come in Siria, la moneta e’ ancora pubblica, dunque la pentrabilita’ della finanza internazionale rimane fortemente condizionata.