Nel buddismo s’insegna che la felicita’ e’ lo scopo della vita.
Essa, naturalmente, non e’ una felicita’ di tipo materiale, in quanto un nuovo telefonino, un nuovo televisore, una nuova auto e perfino un nuovo lavoro o “amore” danno una felicita’ effimera, provvisoria, che si esaurisce in poco tempo proprio come fossero fuochi di paglia.
Oggi, in America e non solo, si pensa che la fama, il successo, la ricchezza e la gioventu’ siano ancora gli ingredienti essenziali della felicita’, quando invece essi sono solo elementi disgiunti e illusori: la prova e’ che molti di quelli che raggiungono questi traguardi combinati… crollano miseramente su se stessi, senza addirittura lasciarsi scampo, in alcuni casi!
Questi standard, dunque, aumentano in moltissimi casi il nostro senso di ansia e insoddisfazione: per questo ci sforziamo di raggiungerli, poiche’ gli altri – secondo la nostra visione – sono “evidentemente” piu’ felici.
I pubblicitari poi amplificano sempre di piu’ queste problematiche, mostrandoci ricchezza, stili di vita originali, famiglie armoniose e corpi splendidi, risvegliando i nostri appetiti e di conseguenza le insicurezze.
Ebbene, secondo il buddismo, la felicita’ non ne’ il raggiungimento di obiettivi materiali (comunque importanti, dato che viviamo in una dimensione materica) ne’ l’assenza di problemi: tutti infatti abbiamo o avremo dei problemi. Scacciare quest’ultimo pensiero, dunque, e’ solo un’altra illusione.
La ragione per cui molta gente e’ infelice, in sostanza, e’ proprio l’illusione: finche’ si credera’ nei miti dominanti e non nella natura e nella verita’ di se stessi, ovvero del proprio potenziale ma anche dei propri limiti, ci sara’ sempre un confronto ansioso e una conseguente delusione.
I buddisti comunque, nel complesso, parlano di due tipi di felicita’: la relativa (temporanea) e l’ assoluta (permanente).
La prima e’ il senso di soddisfazione, di gratificazione e di euforia che si prova quando si raggiunge un determinato traguardo.
La seconda, invece, e’ uno stato di vita che ci permette di godere di noi stessi… in ogni circostanza.
Questo stato di felicita’ assoluta viene chiamato anche Buddita’.
La domanda a questo punto sorge spontanea:come possiamo raggiungere questa felicita’ assoluta e permanente?
Nella filosofia buddista si parla, a tal proposito, di scala della felicita’, ovvero di dieci mondi che descrivono il costante cambiamento delle nostre esistenze quotidiane.
Essi sono: 1) Inferno; 2) Avidita’; 3) Animalita’; 4) Collera; 5) Umanita’; 6) Cielo, Estasi o Felicita’ Temporanea; 7) Apprendimento; 8) Realizzazione; 9) Compassione; 10) Buddita’.
La maggior parte dell’umanita’ oscilla tra i primi 6, ovvero quelli al di sotto della Felicita’ Temporanea: per esempio, se mi alzo la mattina, non amo il mio lavoro e sono preso dalla Collera, guardo in azienda solo le persone attraenti, chiedo loro di uscire ma vengo rifiutato, ecco che sono impantanato tra Inferno, Avidita’, Animalita’ e Collera. Magari so che posso contare sul mio cane, e qui entriamo nel mondo di Umanita’.
Se improvvisamente una di queste persone invece mi dice che vuole uscire con me… ecco che raggiungo la Felicita’ Temporanea, ovvero il sesto livello.
Ma se qualche giorno dopo… scopro che quella persona ha un problema e voglio gia’ scaricarla, ecco che ritorno di nuovo al primo stadio.
Se invece trovo il tempo e la voglia di insegnare qualcosa a me stesso – magari guardandomi un po’ dentro – ecco che salgo gia’ al settimo livello – alias una condizione che e’ oltre la felicita’ temporanea legata agli eventi – ovvero l’Apprendimento.
Se poi decido di realizzare, creare un qualcosa – un progetto di qualunque tipo, intendo – e provo una soddisfazione emotiva per quella cosa che e’ solo mia, ecco che sono all’ottavo livello, ovvero alla Realizzazione.
Supponiamo poi che io riesca ad accorgermi perfino dei problemi degli altri, e che decida di aiutarli, magari un amico che ha bisogno di un aiuto emotivo, o un semplice clochard che ha bisogno di mangiare.
Ebbene, in questo caso siamo gia’ saliti al nono livello, ovvero quello della Compassione.
La Compassione viene anche definita “l’aspirazione all’Illuminazione”, dato che la felicita’ e il benessere degli altri divengono parte integrante dei nostri comportamenti e interessi.
L’ultimo livello – la Buddita’ – e’ sperimentare invece la saggezza del cuore, ovvero vivere con piu’ anima, cosa che ci fa acquistare ogni giorno sempre piu’ saggezza e forza vitale.
La cosa incredibile di questa scala e’ che quando si iniziano a percorrere i sentieri superiori – ovvero dal 7 livello in su – diventa sempre piu’ difficile sprofondare al primo livello – quello dell’inferno – in quanto ci si abitua sempre di piu’ al benessere della buddita’.
Insomma, anche se lo si fa, si risale la scala molto facilmente.
Nella vita, dunque, e’ importante, anzi fondamentale, avere autostima, controllo della propria vita, una visione ottimistica, cosi’ come delle relazioni profonde e durature (di qualsiasi genere) e degli scopi nobili. E’ questo che ci aiuta a salire questa scala!
La felicita’ non e’ l’assenza di problemi, piuttosto e’ un “io” che si erge al di sopra di essi, impetuoso e indomabile.
Ricordiamoci sempre che siamo solo dei personaggi, e che la vita e’ una commedia.
Ricordiamoci – infatti – che siamo degli esseri spirituali che compiono una transitoria quanto momentanea esperienza materiale.
Fonte immagini: Google.
Fonte articolo: “Il Budda nello specchio” di Hockswender, Martin e Morino.