Siamo sempre più infelici

Il Presidente John Fitzgerald Kennedy ebbe a dirlo in un suo celebre discorso: “il Pil di un paese, l’economia di un paese, non tiene conto realmente della felicita’ delle persone, e questo perche’ anche le cose piu’ brutte come malattie, incidenti e morti fanno aumentare le percentuali di “crescita” di una determinata nazione”.
Una malattia, infatti, fa acquistare medicinali. Un incidente fa cambiare l’auto.
In pratica, entrambe le situazioni fanno aumentare il Pil.
Sappiamo tutti che fine ha fatto Kennedy; e sappiamo anche che quello che ha detto, almeno finora, non e’ mai stato messo in pratica.


Le cose, pero’, iniziano piano piano a cambiare: in Gran Bretagna e in Brasile, per esempio, ci si sta muovendo proprio in questo senso; nel primo, si vuole creare un indice statistico che misuri la felicita’ degli individui, mentre nel secondo, addirittura, grazie all’iniziativa di un senatore di nome Buarque, si e’ riusciti ad inserire nella costituzione “il diritto alla ricerca della felicita'”: primo caso al mondo.
In Italia, purtroppo, complice la crisi economica e una cultura di massa sostanzialmente bassa e immatura gia’ in tempi pre-crisi, la felicita’ sembra un miraggio ogni giorno piu’ lontano: secondo l’ipsos, il 25% degli italiani si dichiara felice, il 40% non sa bene e il 35% e’ infelice.
E pensare che tre anni fa era il 17% a dichiararsi infelice cronico…
Questo modo di pensare dei due paesi citati sopra, a dirla tutta, dovrebbe essere attuato in tutto il mondo, e questo perche’ anche all’economia – dato che e’ l’unico parametro che sembra davvero contare oggi – fa bene avere un popolo felice: le persone felici, in sostanza, lavorano di piu’ e meglio, producono di piu’ e spendono allo stesso modo, facendo girare le pale dell’economia.
E il bello e’ che lo fanno sempre!
La crisi economica non soltanto abbassa il Pil e i vari parametri economici, ma deprime anche le persone che si vedono togliere la dignita’ del lavoro, del risparmio, delle varie possibilita’ di acquistare cio’ che piace e fa stare loro bene.
La felicita’, pero’, resta legata anche al grado di cultura e quindi di crescita personale di un paese: se hai una certa cultura – a meno che tu non sia saggio per natura! – sei piu’ consapevole di quello che sei, e puoi mettere in atto strumenti emotivi e comportamenti maggiormente razionali e costruttivi anche in caso di grosse avversita’.
Inoltre e’ dimostrato che il consumo non rende felici, se non in modo effimero ed assolutamente temporaneo.
Gli Stati, dunque, dovrebbero smetterla di inseguire parametri sempre piu’ lontani dalla gente: l’economia deve essere a misura d’uomo, venire incontro ai bisogni di tutta la gente, e continuare in questa logica dove vale solo ed esclusivamente il maxi-profitto di pochi a scapito della poverta’ di molti, e’ un suicidio per tutti, poveri ma anche ricchi!
Un’economia solida, reale e duratura si assicura solo con il benessere di TUTTI i suoi cittadini.
Anzi, diro’ di piu’, di tutti gli esseri umani.
Quello che stiamo vivendo – il periodo del cosiddetto “neoliberismo economico” – sara’ sicuramente ricordato dai posteri – semmai ci saranno! – come uno dei periodi piu’ brutti, tristi e vuoti che l’umanita’ abbia mai conosciuto e vissuto in tutta la sua esistenza.
Speriamo che gli uomini si ravvedano.
Speriamo – soprattutto – che si esca una volta e per tutte da questa globale… economia dell’infelicita’ umana.